Il discorso tenuto a Quattro Castella
Caro Andrea, gentile Laura, cari cittadini, gentili autorità, intanto grazie per l’invito a questa bella giornata di festa: perché prima di tutto dobbiamo ricordare che quando un Paese e un popolo acquisiscono la libertà, è innanzitutto una festa.
Oggi ci troviamo quindi a celebrare l’anniversario della Liberazione dal nazifascismo a 73 anni da questa importante ricorrenza: una giornata fortemente evocativa perché è una parte indelebile della storia della nostra zona, che è stata segnata dalla violenza, dalle rappresaglie e dalle stragi dopo l’otto settembre, e ne ha pagato un prezzo importante in termini di vite umane. Ma, nello stesso momento, grazie a tanti genitori e nonni che hanno avuto un ruolo straordinario, si è contribuito a rendere questa giornata una rievocazione all’insegna della libertà.
E per portare quindi un breve contributo, un piccolo pensiero, alle vostre comunità, vorrei partire proprio da uno di quei personaggi che ha segnato quel tempo ma anche la vita delle istituzioni democratiche reggiane e che ci ha lasciato pochi giorni fa: Otello Montanari.
Sicuramente l’eco e il dibattito che accese con il cosiddetto “chi sa parli” fu immenso, in una logica non di revisionismo storico, perché tutti noi sappiamo qual era la parte da cui stare, quella di chi ha lottato per la libertà dal giogo nazi-fascista. In quel tentativo vi fu invece un forte senso di responsabilità e un tentativo di riappacificazione: credo che ci fosse nella sua azione la ricerca di una verità alta, nella consapevolezza di aggiungere una dimensione di giustizia all’azione di coloro che certamente, e senza dubbio, hanno combattuto per la libertà, e a cui tuttora dobbiamo molto.
Contemporaneamente Otello è stato anche il protagonista del rilancio del Tricolore, di quella bandiera che è simbolo della nostra Repubblica. Va principalmente a lui il merito di avere reso onore alla storia di Reggio Emilia e della sua provincia, in quei tentativi di dare vita a delle Repubbliche come la Cisalpina e la Cispadana (seppure dominate dalla Francia) che avevano il merito di rendere l’Italia indipendente dagli antichi governi.
Il Tricolore è protagonista, oramai da vent’anni di una giornata dedicata che vede il 7 gennaio a Reggio Emilia la presenza di Presidenti della Repubblica, Ministri e diverse autorità. Ed è inoltre un vessillo indiscutibilmente legato alla Costituzione, di cui quest’anno ricorre il settantesimo anniversario. Una bandiera che non è solo da sventolare in occasione dei Mondiali, ma che ci deve riempire di orgoglio e di appartenenza sui valori fondamentali che rendono le nostre società evolute, libere, democratiche.
E il messaggio che vorrei lasciare oggi, in questo breve saluto, parte proprio dalla bandiera e dalla Costituzione: tutti noi cittadini dobbiamo farci carico non solo dei diritti di cui siamo partigiani, ma anche dei doveri, attraverso importanti battaglie valoriali e culturali. Ci deve essere un lavoro comune per rispettare la bandiera e la Carta costituzionale, ci deve essere un impegno collettivo di comunità, che purtroppo, come stiamo vedendo sempre più spesso, rischia di venire meno nel suo patto di cittadinanza, già a partire da quei luoghi più importanti nella crescita e nella formazione dell’individuo come la scuola. Se vogliamo essere attenti ai doveri, non possiamo fare finta di niente di fronte alla cronaca di questi giorni, laddove viene meno il principale patto educativo tra famiglie, scuole e studenti; quello spazio che deve contribuire a costruire il cittadino e che, nel rivendicare i propri diritti, come quello all’istruzione, non dimentica i propri doveri. Proprio la scuola, che è il luogo della costruzione di un individuo consapevole, deve aiutare a fermare quei venti di cultura xenofoba e razzista che attraversano anche le nostre comunità: in questo periodo di formazione si dovrebbe mettere le basi di un mondo delle relazioni umane che supera la dimensione dello straniero e del diverso, perché la costruzione delle nostre comunità è avvenuta anche in virtù dell’incontro di culture anche diverse, ma che sono state capaci di incontrarsi; pensiamo solo alle nostre terre, luoghi di forte migrazione dal Sud negli Settanta.
E quindi non possiamo accettare che vi siano forze che vogliono ancora spingerci all’odio, alla separazione, alla divisione, e che si sono sempre rivelate delle utili scorciatoie in tempi di profonda mutazione e transizione come quelli che stiamo vivendo, ma altrettanto incapaci di gestire politicamente la complessità, sul lungo periodo, di periodi come il nostro. Proprio per questo che la celebrazione del 25 aprile è sempre attuale: è un’occasione per riconnettersi in maniera non rituale, non scontata, con i valori ideali che sono alla base della nostra Repubblica, contenuti –penso- nella prima parte della Costituzione, ad esempio nell’articolo terzo: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” .
Guardate: oggi non è il tempo di risposte facili, lo sappiamo bene, noi che abbiamo questa importante responsabilità di gestire la cosa pubblica, amministrare o governare in tempi come questi. E proprio perché comprendiamo la fase che stiamo vivendo, ritengo comprensibile il fatto che la paura sia il sentimento dominante nella nostra società in trasformazione. Perciò a fianco della scuola e della famiglia, dobbiamo riprendere il dovere di essere comunità. Una comunità attiva, che partecipa, non disinteressata, ma che sia protagonista nei luoghi degli interessi collettivi, dell’incontro, dell’associazionismo. Deve essere questa la nostra risposta di fronte a un mondo che è cambiato, mentre le diseguaglianze aumentano, i processi produttivi portano a una maggiore espulsione dal mondo del lavoro e dalla società, la comunicazione globale ormai accessibile a tutti connette angoli di pianeta remoti.
Tra i nostri doveri quindi, ricostruiamo questo patto di cittadinanza, rimettendo al centro la dimensione collettiva rispetto a una dimensione individuale ed egoistica, noi possiamo vincere questa sfida, celebrando così al meglio il 25 aprile, raccogliendo quell’eredità che partigiani come Otello ci hanno lasciato. Perché non siano solo frammenti e ricordi di memoria condivisa, dobbiamo essere capaci e in grado di raccogliere da chi ha combattuto per la libertà e ci ha consegnato la nostra Costituzione, un’opportunità e una speranza, che ogni 25 aprile siamo chiamati a rinnovare. Viva la Costituzione, viva il 25 aprile, viva l’Italia.