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Oggi si deve raccogliere il forte significato di quella lotta di Liberazione, dalla quale deriva la nostra democrazia e la nostra Repubblica

Quale può essere il senso e il valore di una Festa popolare e di massa come il 25 aprile in un momento storico in cui siamo chiamati, per ragioni di emergenza sanitaria, a stare al sicuro nelle nostre case? Dov’è quella identità collettiva che derivava dal rischio, dalla sfida, dal coraggio di avere messo a repentaglio la propria vita per un ideale più alto (instaurare la pace e la democrazia) e che ha consentito a una generazione di avviare la fase della Liberazione, dando vita poi alla nostra Repubblica? Parliamo di epoche lontanissime, è vero. E lo sembrano sempre di più, di anno in anno, quando quei valori antifascisti appaiono distanti da noi, e sono a volte presi di mira da chi non vuole riconoscere che la nostra Italia libera discende da quell’Italia che fu liberata dai nazifascisti nel 1945.

Ma oggi, proprio nella solitudine e nel silenzio di celebrazioni solitarie, senza pubblico e senza parole, si deve comunque raccogliere il forte significato di quella lotta di Liberazione, dalla quale deriva la nostra democrazia e la nostra Repubblica. Proprio ai tempi del Coronavirus, il 25 aprile può avere un significato profondo: siamo chiamati a rifugiarci nelle nostre case perché incombe una minaccia che, come la guerra, non conosce distinzioni e privilegi e che, oggi come allora, ci invita a essere un popolo unito, un’unica Italia.

È una lotta diversa, questa, che chiama in campo pure la scienza, proprio in barba a coloro i quali, fino a ieri, mettevano in dubbio l’utilità dei vaccini e della medicina tradizionale. È una guerra silenziosa, che ci impone di difendere i più deboli (gli anziani delle case di riposo, i bambini e i ragazzi a cui è stata negata la scuola per proteggerli da un male più grande, le persone già a rischio perché già malate), e che ha visto, come allora, grandi altruismi e piccole meschinità.

Come nel 1945, l’Italia che ne uscirà non sarà per forza migliore o più grande, tutt’altro; ma esattamente come settant’anni fa, sarà chiamata a ripartire con le sue gambe, con più forza. Una generazione fu chiamata a immaginare un Paese nuovo, repubblicano e capace di unire diverse anime (cattolica, socialista, comunista, liberale), non senza conflitti o diversità di vedute, ma lo fece e vi riuscì. Anche allora le nostre comunità erano divise, ma mai come allora il bene comune ha prevalso e una nuova Italia è nata; creando non da ultimo quel sistema democratico e basato su regole condivise che oggi ci rende un Paese evoluto, e ponendo le basi di quel sistema sanitario nazionale che, di fatto, oggi nessuno si sogna di mettere in discussione e che ci ha consentito di affrontare la più grande minaccia sanitaria che questo secolo ricordi.

E dietro questi scelte ci sono stati degli uomini e i loro valori. Nel ricordarli oggi, onoriamo la loro memoria per quello che essi rappresentano, ma al tempo stesso compiamo uno sforzo di immaginazione verso il futuro, verso il Paese che desideriamo: grazie a una visione di insieme di comunità, seppur tra forze politiche avverse, un tempo si è ricostruito un paese martoriato da una guerra mondiale e civile, oggi dobbiamo superare un duro colpo in termini di costi umani ed economici.

Come ci esorta Ferruccio Parri, un grande protagonista della Resistenza, dichiarando in anni che si sarebbero rivelati difficili (era il 1974, l’Italia era sospesa tra stragi e austerità), nella trasmissione radio intitolata Le speranze della Resistenza: “Non ci tenga prigionieri il malumore: un popolo che non ha voluto la sua indipendenza e la sua libertà come un dono altrui ed ha accettato di pagarla al prezzo più grave non può aver perso energie o vitalità, è ancora capace di semplici e chiari ideali umani, capace di rompere le vecchie dande e di spingere, avanti, verso Terzi Risorgimenti, questa nostra e vecchia barca italiana”.

Qui il suo intervento audio, e quello di tanti altri protagonisti di quegli anni.

Buon 25 aprile a tutti voi!

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