Il PCI, uno dei più longevi e importanti partiti comunisti del mondo
100 anni fa nasceva il Partito Comunista Italiano. Era il 21 Gennaio 1921, tra il teatro Goldoni e il teatro San Marco di Livorno, e durante il congresso del Partito Socialista si consumava la prima scissione della sinistra italiana.
Il Partito Comunista italiano, uno dei più longevi e importanti partiti comunisti del mondo, nacque nel 1921, in un momento in cui l’Europa intravedeva una crisi senza precedenti e in cui le masse operaie iniziavano a lottare per avere un protagonismo nella storia politica dei propri Paesi, guardando alla recente rivoluzione russa.
Se il confino imposto dal fascismo, le continue persecuzioni, l’ostracismo nella società cercarono di distruggere questo movimento, i comunisti italiani si rafforzarono in esilio in Francia, o continuarono le loro elaborazioni, che sarebbero state preziose, in carcere, come Gramsci. Fu con il grande movimento della Resistenza che i comunisti, finalmente, impressero il loro contributo alla storia italiana e alle nostre terre: cercando di restituire al vostro Paese afflitto la libertà e la dignità perdute.
Grazie anche a Togliatti, si riuscì a ripartire e a ricostruire senza dividere il Paese tra vincitori e vinti (anche se qualcuno disse che sarebbe stato necessario): ma solo questo consentí di dare all’Italia una Costituzione che profumava di giustizia sociale, eguaglianza, difesa dei più deboli. Dal dopoguerra in poi, il Partito Comunista fu innanzitutto forza culturale, egemonica nel mondo dell’editoria e delle università, con grandissimi intellettuali che tutti ricordiamo. Ma a livello politico, pure in una storia lunga e complessa, durata fino al 1991, il PCI seppe imporsi come forza capace di battaglie coraggiose (il divorzio, l’aborto), così pure di una visione avanzata e disincantata della politica italiana (il compromesso storico con il grande Berlinguer).
In Emilia, poi, il PCI contribuì a creare una società più giusta e più eguale: dove il contadino avesse le stesse opportunità dell’imprenditore, dove le donne fossero libere di lavorare grazie a un sistema di welfate sul modello del Nord Europa, dove a chiunque fosse data libertà di espressione e di parola. Ha significato benessere per tutti, non lasciando indietro nessuno, né sul lavoro né a scuola. Ha significato consentire a una fetta ampia di popolazione di reclamare per sé diritti non venendo mai a mancare nei propri doveri. Ha significato manifestare in piazza, più e più volte, ogniqualvolta che non si ritenessero giuste le decisioni prese a livello centrale. Ma è stata pure, come ricordò Berlinguer a Padova, una passione politica che ha mosso famiglie, basti pensare a cosa hanno rappresentato le feste de l’Unità, luoghi di aggregazione e condivisione, in queste terre.
Anche grazie al PCI questo Paese oggi è più europeo.
Questo partito fu poi protagonista di drammi cocenti, strappi dolorosi, divisioni accecanti: ma sempre con grande convinzione, e sincero afflato ideale.
Cosa resta oggi di questa eredità ingombrante? Senz’altro la lettura gramsciana del concetto di cultura che ognuno dovrebbe possedere è molto adatta a questi tempi di nuove e insidiose ineguaglianze, che saranno acuite dalla pandemia mondiale: “la cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri”.
Ancora oggi l’eredità del Partito Comunista ci insegna a liberarci dai lacci dell’ignoranza e della divisione in classi e a cercare la propria realizzazione collettiva, umana e personale.