Un breve riflessione per Silvia Romano
Silvia è viva, ed è tra noi. Questo è quello che avrebbe dovuto interessarci, reduci come siamo da uno stato di semi-isolamento ben più dorato e ben più confortevole di quello in cui si sia trovata questa giovane donna che ha vissuto in uno dei Paesi più martoriati dal fanatismo islamico. Decidere cosa Silvia avrebbe dovuto credere o fare non è un nostro diritto.
Da parlamentare, non posso che appoggiare la scelta di un Governo, di qualsiasi colore politico esso sia, che non lascia morire i nostri connazionali rapiti e giustamente mette la vita umana al primo posto.
È la differenza tra i democratici e i terroristi di tutto il mondo (inclusi quelli, italianissimi, che rapirono Moro), per i quali la vita altrui è uno strumento di potere e un mezzo per avere denaro. Vorrei sottolineare proprio questo aspetto, in risposta al collega leghista Pagano il quale è intervenuto oggi, definendo Silvia una neo-terrorista, e superando così il limite del rispetto del ruolo che pro-tempore, come parlamentari, siamo chiamati a svolgere.
E se i nostri valori democratici restano intatti, non si può allora lasciare Silvia in balia delle accuse, delle violenze, degli attacchi terribili che si sono scatenati in questi giorni: dov’è il Paese che si era riscoperto solidale e migliore dopo avere sperimentato un’epidemia dalle proporzioni colossali? Pure se ho preferito restare in silenzio, per rispetto ai famigliari, e a tutti coloro che hanno lavorato in silenzio per liberarla, oggi ritengo doveroso intervenire perché sulla vicenda sono stati registrati livelli di violenza inaccettabili in un Paese evoluto.
Un altro tema di riflessione, non ultimo per importanza, è l’Islam. Su di esso non esiste una riflessione che possa definirsi neutra. Mentre le nostre Chiese purtroppo sono vuote, e devono restarlo per decreto ancora per qualche giorno, una donna osa scendere dall’aereo che la riporta a casa, avvolta dalla sua tunica verde chiamata jilbab, simbolo di un’altra e diversa identità religiosa. Per giunta, scelta. Quanto liberamente o meno, non importa.
È un’identità che ci spiazza, perché non ci conforta e non è prevedibile, perché pochi di noi, fortunatamente, conoscono quello che accade nella mente di un prigioniero, quando è in uno stato di costrizione mentale e fisica per un periodo così prolungato. Ma si può di certo intuire che il Corano possa averle dato la forza di superare questa prova così drammatica.
Pochissimi dunque potrebbero giudicare, molti lo hanno fatto inopportunamente: io credo che oggi, su questa vicenda, per rispetto del lavoro delle intelligence, per rispetto della famiglia e degli affetti più cari, occorra spegnere i riflettori il prima possibile. Perché ciò che conta davvero è che Silvia è viva, tra noi.