Enti di promozione sportiva: una chiusura selettiva nell’ultimo DPCM

Presentata un’interrogazione a risposta in Commissione

Lo sport, ne siamo consapevoli, è uno tra i settori maggiormente colpiti dalla pandemia. Le ricadute economiche hanno messo in difficoltà tantissime società sportive di base, il patrimonio più importante del sistema sportivo, ma non solo: l’assenza della pratica sportiva sta producendo effetti negativi, in particolar modo nei giovani, che sono privati di un’attività utile per il benessere fisico e psicologico.

La situazione sanitaria attuale impone scelte difficili, ne sono consapevole e non le contesto, però, in questo caso, mi sia permesso evidenziare e contestare l’assenza di un principio di equità di trattamento tra i vari soggetti che compongono l’universo sportivo.
Con l’ultimo DPCM del 2 marzo 2021, in una logica di ulteriore riduzione degli spostamenti e delle occasioni di assembramento, nella zona rossa è stato introdotto un principio che permette di continuare a svolgere allenamenti e gare a chi rientra nella “preminente rilevanza nazionale”, escludendo in modo netto nell’art.41, a differenza dei precedenti DPCM, quelle realtà sportive facenti parte di un Ente di Promozione Sportiva.

Scrivo questa riflessione a malincuore, ma ritengo che si debba stabilire in che modo la rilevanza nazionale sia rispondente alle competizioni di vertice nelle varie discipline oppure l’esclusione degli EPS in questo caso si trasformerebbe in un’iniziativa semplicemente discriminante. Vorrei sperare che l’autorità delegata dal Governo in materia di sport, in questo caso la Sottosegretaria Valentina Vezzali e il Ministro della Salute Roberto Speranza, prenda a cuore questo problema.

In merito a questo argomento, ho presentato un’interrogazione a risposta in commissione.


INTERROGAZIONE A RISPOSTA IN COMMISIONE

Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della Salute – Per Sapere – Premesso che

Lo Sport è tra le attività sociali maggiormente penalizzate dalle restrizioni previste in seguito all’emergenza Covid-19, che hanno costretto centinaia di migliaia di ragazzi all’inattività fisica che avrà conseguenze devastanti di lungo periodo in termini di dipendenze digitali, aumento dell’obesità giovanile, disagio sociale giovanile;

l’attività sportiva in Italia è organizzata da differenti soggetti, attualmente tutti ugualmente riconosciuti e vigilati dal CONI: federazioni sportive nazionali, discipline sportive associate, enti di promozione sportiva, all’interno dei quali si dispiegano sensibilità differenziate;

fin dai primi DPCM in tema di “contenimento dell’epidemia da COVID 19”, il Governo ha scelto di normare la materia lasciando la possibilità allo sport di “preminente rilevanza nazionale” di continuare il proprio svolgimento, investendo il CONI di un compito di selezione e controllo di quanto segnalato dalle singole FSN, DSA ed EPS come attività di preminente interesse nazionale. Sul sito del CONI appaiono dunque gli elenchi puntuali delle attività ammesse ai sensi del DPCM, correttamente divise e dettagliatamente enumerate per ente organizzatore;

con il DPCM del 2 marzo 2021, in vigore dal 6 marzo al 6 aprile, all’articolo 41 si evidenziano le prescrizioni di chiusura delle attività sportive in zona rossa, si evidenzia una chiusura selettiva, personalizzata e non giustificata da argomenti medico-scientifici nei confronti degli EPS, le cui sole attività risultano completamente sospese, a fronte della totale mancanza di specifiche su FSN e DSA che quindi possono teoricamente continuare con attività e allenamenti anche in zona rossa;

dal settore viene segnalato che numerose amministrazioni regionali e comunali stanno intervenendo, con proprie ordinanze, per correggere questa stortura evidente e discriminatoria, chiudendo impianti sportivi per tutta l’utenza a prescindere dalla tessera di appartenenza in possesso degli atleti, in quanto non risulta credibile che ci siano livelli di contagiosità minori o maggiori a seconda che l’ente a cui la società sportiva è affiliato e assicurato sia una FSN, una DSA o un EPS;

dall’inizio della pandemia gli Enti di promozione sportiva hanno più volte denunciato le disparità delle misure di contenimento, ritenendosi fortemente penalizzati;

gli Enti di promozione sportiva in un anno di pandemia hanno inoltre perso migliaia di tesserati che – tra il restare fermi e il poter fare sport – hanno preferito tesserarsi con altri organismi ai quali invece era consentita ancora la pratica sportiva.

nel rispetto del lavoro svolto dalle tante associazioni e per garantire un’adeguata offerta delle attività sportive alle famiglie emerge la necessità di modificare radicalmente l’impostazione delle misure oggi adottate basandole ai rischi epidemiologici legati e non alle sigle organizzatrici
:-

se i ministri interrogati intendano – alla luce dei fatti esposti in premessa – prevedere le necessarie restrizioni esclusivamente sulla base dei rischi epidemiologici, indipendentemente dall’organismo sportivo.

Presentatore
On. ANDREA ROSSI

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